Di seguito l’omelia di don Roberto Colameo,Superiore dei Salesiani dell’Italia Centrale, durante la Celebrazione Eucaristica delle Esequie di don Palmerio Taliani.
Carissimi,
desidero innanzitutto porgere le mie condoglianze ai parenti di don Palmerio qui presenti.
Saluto tutti i confratelli, in particolare quelli della Comunità di Vasto che lo hanno custodito con dedizione e passione esprimendo davvero la fraternità, lo spirito di famiglia che deve vivere dentro le Comunità Salesiane. Rendo grazie al buon Dio per la Sua delicata carezza perché insieme a Don Bosco si fa presente in S.E. mons. Bruno Forte, Pastore di questa Chiesa, il quale ha desiderato partecipare al dolore per la perdita di un “patriarca” della Congregazione assistendo al nostro “rendimento di grazie”. Eccellenza, Le siamo grati e riconoscenti, perché ci è vicino!
Saluto le autorità civili qui presenti, in particolare il Sig. Sindaco, che con la Sua presenza, oltre ad esprimere la vicinanza e la solidarietà, rende grazie per l’impegno che i Salesiani mettono a servizio dell’educazione per la società civile.
Saluto tutti i presenti, i membri della Famiglia Salesiana, i parrocchiani, tutta la CEP di Vasto che ha amato, sostenuto e accompagnato il carissimo don Palmerio e quanti sono qui per il profondo e duraturo rapporto di amicizia che hanno avuto con lui: sono certo che qui presenti, in mezzo a noi, accanto a noi, ci sono tanti fratelli e sorelle della “Chiesa Celeste” che nella sua lunga vita come missionario prima e come cappellano dell’ospedale poi, ha accompagnato all’incontro con il Signore della Vita.
Una vita decisamente lunga, quella di don Palmerio, il confratello più “anziano” della Circoscrizione. Immagino quanto desiderasse continuare a viverla, se non altro per raggiungere il traguardo dei 100 anni: l’appuntamento è fissato in Cielo, dove tutti noi siamo “invitati al banchetto”.
Celebriamo questa liturgia di saluto per don Palmerio, di 99 anni di età, 71 di vita salesiana e 60 anni di sacerdozio. Tutte le volte che celebriamo l’eucaristia presentiamo davanti al Signore la nostra vita, perché la trasformi con la forza del suo Spirito nel sacrificio di amore che Lui ha compiuto per noi, perché la nostra povera e fragile vita diventi il sacrificio stesso del Signore.
Don Palmerio ha celebrato la Messa per tanti giorni della sua vita e tutte le volte ha ripetuto questa offerta al Signore, l’offerta del suo lavoro, del suo servizio di salesiano e di prete. Adesso siamo noi che offriamo al Signore, tutta la vita di don Palmerio, che è sigillata dalla morte e ha acquistato la sua fisionomia definitiva e completa. L’affidiamo al Signore perché trasformi tutta la vita di questo nostro fratello nel sacrificio puro e santo del suo amore, perché il Signore purifichi tutto quello che di fragilità e di egoismo ci può essere stato e valorizzi invece tutto quello che veniva dalla sua grazia e dalla sua capacità di amore.
Il Libro della Sapienza dice che in realtà le cose vere e più importanti non sono quelle che si vedono con gli occhi, ma sono quelle misteriose, nascoste. Con gli occhi riesco a vedere i volti, ma quello che è più importante è vedere il cuore.
Lo stesso vale di fronte alla morte del giusto: «Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità» (Sap 3, 1-4). Noi chiediamo al Signore che ci aiuti a vedere le cose in questo modo: a riconoscere don Palmerio nelle mani di Dio, in quella pace che viene dalla misericordia e dalla protezione del Signore. Chiediamo che ci aiuti a riconoscere nella sua vita una speranza piena di immortalità.
La vita di don Palmerio è cominciata con il Battesimo: significa che è stato consacrato a Dio; è continuata con la professione religiosa e con l’ordinazione sacerdotale: significa che ha donato al Signore, alla Congregazione salesiana e alla Chiesa il suo tempo e le sue energie. Per tutta la vita ha consacrato il pane e il vino: ha preso del pane e del vino e invocando lo Spirito Santo ha fatto si che il pane e il vino diventassero la vita del Signore. Questo è il senso della sua stessa vita, è la sua vita trasformata nel corpo e nel sangue del Signore.
Io credo che la risposta, di fronte al mistero della morte, sia nelle parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo: «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo» (Gv 12, 23). Nel Vangelo di Giovani tutta la vita di Gesù è raccolta in questa immagine “dell’ora”; c’è un’ora di ciascuno. E vuole dire: un momento per cui Gesù è venuto, di cui tutto il resto è una preparazione, un’attesa; tutto il resto deve tendere lì. Vuole dire: il cammino dell’attesa è terminato, adesso c’è il compimento della vita, «l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato». “Glorificato” vuole dire: che sia manifestato nella sua vera identità. Il paradosso è questo: la glorificazione coincide con la morte, con la passione, con il venire meno dell’esistenza. Nella morte in croce, Gesù perde la vita, ma nella morte in croce Gesù porta la sua vita a perfezione, anzi manifesta la sua identità.
Perché? «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12, 24-25). Vuole dire: il chicco di grano è una potenza di vita; contiene la capacità di fare vivere una spiga; ma questa potenza di vita è racchiusa in un involucro che la protegge, ma nello stesso tempo, proprio mentre lo protegge, la isola. Perché la potenza di vita che c’è dentro possa esplodere e produrre una vita più ricca e più grande, bisogna che il chicco di grano muoia, perché solo se muore quella potenza di vita che ha diventa capace di moltiplicarsi.
Ma come fa uno a vivere una morte così? Come si fa ad essere pronti? Di solito dall’ultima scena di un film si comprende tutta la trama. Proviamo allora a ripercorrerla a ritroso, riavvolgendo la pellicola: quattro grandi tempi della sua vita, il periodo della pseudo inabilità; il tempo del sollievo alla sofferenza; il momento del dono totale per l’evangelizzazione; il momento degli inizi.
Quarto tempo: DELLA PSEUDO INABILITÀ!
Venendo più volte in questa Comunità, sempre mi sono lasciato ispirare e condurre da quanto nel nostro Progetto di Vita, e precisamente nell’articolo 53, viene detto a proposito dei confratelli anziani e ammalati: “La comunità circonda di cure e di affetto i confratelli anziani e ammalati. Essi, prestando il servizio di cui sono capaci e accettando la propria condizione, sono fonte di benedizione per la comunità, ne arricchiscono lo spirito di famiglia e rendono più profonda la sua unità.
La loro vita assume un nuovo significato apostolico: offrendo con fede le limitazioni e le sofferenze per i fratelli e i giovani, si uniscono alla passione redentrice del Signore e continuano a partecipare alla missione salesiana”.
I rapporti di amicizia fraterna, che devono regnare nella comunità, si concretizzano, in un modo tutto speciale, nell’amore e nella cura premurosa verso gli anziani e gli ammalati. Lo spirito di famiglia diventa tangibile quando tutta la comunità confluisce con le sue ricchezze di affetto e di servizio verso i membri più deboli e sofferenti della comunità stessa. Attraverso i gesti dei singoli confratelli è la comunità salesiana che serve il Signore nei fratelli più bisognosi.
Nella tradizione salesiana, risalente ai tempi di Don Bosco, gli ammalati sono circondati da attenzioni particolari. Dello stesso Don Bosco si legge nelle «Memorie Biografiche»: «Appena metteva piede in una casa
– deponeva D. Luigi Piscetta – la sua prima domanda era se vi fossero ammalati, e recavasi subito a visitarli. Per essi nutriva una carità veramente materna, ed osservava che fossero provvisti di ogni cosa necessaria».1 La raccomandazione di aver cura degli ammalati si trova, poi, in varie lettere di Don Bosco; così, ad esempio, scriveva a Don Allavena, in Uruguay, il 24 settembre 1885: «abbi una cura speciale dei fanciulli, degli ammalati, dei vecchi».2 Gli anziani e gli ammalati nella comunità salesiana, recano un contributo originale e prezioso, soprattutto con il loro esempio e con la loro sofferenza.
La Regola ci dice che gli ammalati e gli anziani non sono per la comunità un peso, ma una «fonte di benedizione»; essi, infatti, sono segnati in maniera speciale dalla passione di Cristo, e perciò vivono, per se stessi e per gli altri, più intimamente il mistero del dolore che redime e salva. Ecco allora che i fratelli anziani e ammalati «arricchiscono lo spirito di famiglia»; infatti il dolore non solo purifica chi lo subisce e la comunità che lo condivide, ma ridesta nei confratelli tante energie di condivisione, di sopportazione, di servizio, caratteristiche appunto del più autentico spirito di famiglia.
Rinnovando quotidianamente l’offerta della propria esistenza segnata dal dolore, il confratello ammalato o anziano «si unisce alla passione redentrice del Signore»: in ogni momento della giornata, la sua vita sofferente o indebolita, unita al Crocifisso, acquista un valore redentore unico ed è quindi eminentemente
«apostolica». Da questo atteggiamento intimo di offerta di sé in Cristo al Padre per la salvezza del mondo, sgorga quasi spontaneamente la preghiera esplicita, che occupa un posto privilegiato nelle lunghe ore di pazienza del confratello sofferente; così egli rimane vivo nel cuore della comunità e «continua a partecipare alla missione salesiana». Questo è stato don Palmerio per la Comunità tutta!
Terzo tempo: DEL SOLLIEVO ALLA SOFFERENZA
Dopo tanti anni in missione, nonostante l’età avanzata, don Palmerio non ha esitato a rispondere sì a questa nuova chiamata. “L’arcivescovo Bruno Forte aveva chiesto ai salesiani aiuto per un cappellano dell’ospedale. Così l’Ispettore Don Giovanni Molinari mi chiese se me la sentivo. Io dissi “ci provo”. Ogni giorno indossa il suo camice bianco e poi su e giù per i corridoi e per i reparti dell’ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto, sempre con la sua discrezione e il suo amore per il prossimo che traspare dagli occhi sinceri. Sono qui da 7 anni (siamo nel 2014 quando narra quanto si scrive) e mi trovo benissimo”. La sua giornata è fatta di preghiera e ascolto, di parole di conforto e di incontro con la sofferenza. “Arrivo in ospedale per le 9, passo in cappella dove leggo, studio, prego. Alle 10.30 inizio la visita dei reparti, fino a mezzogiorno. Poi torno in comunità per il pranzo e verso le 15.00 torno in ospedale, dove continuo le visite ai malati fino alle 19.30”. Il servizio in ospedale è un incontro con tante situazioni di sofferenza. “In ospedale si trovano tante situazioni che fanno dispiacere. L’altra sera sono stato a visitare un signore che soffriva tantissimo alle gambe, sono tornato il giorno dopo e per fortuna il dolore si era alleviato”.
Nell’incontro con i malati la sua presenza è sempre discreta. “Preghiamo un po’, a volte leggo un brano di Vangelo, lascio qualche pensiero, cerco di lasciare loro qualche pensiero di vita eterna”. C’è un confronto anche con i non credenti. “C’è grande rispetto, con qualcuno avvio un dialogo ma senza fare polemiche”. Nella cappella al piano terra dell’ospedale passa anche tanta gente che non è qui ricoverata ma che cerca un conforto. “Viene anche gente di fuori a sfogarsi, a chiedere consigli. Quanta sofferenza c’è in giro – rivela con sconforto -. Ho sentito di un figlio che picchia la mamma, di mariti cattivi che tengono le mogli quasi come schiave – dice questa volta con rabbia – ”. Gli anni in cui è partito missionario erano certamente differenti da quelli attuali, non c’erano mezzi di comunicazione veloci come oggi. “Ma stando lì ho imparato tutto. È come un sacerdote che viene nominato parroco, deve imparare a svolgere questa missione. E lo fa insieme al popolo, perché il popolo va servito, mai comandato”.
Secondo tempo: DEL DONO TOTALE PER L’EVANGELIZZAZIONE
“A quei tempi mi piaceva leggere i calendari missionari, con i francescani, i cappuccini, mentre i salesiani non li conoscevo per niente. Quando vedevo le foto di qualche frate che in Africa, sotto un grande albero, insegnava il catechismo a tanti bambini mi dicevo: mi piacerebbe somigliare a lui, per insegnare catechesi ai bambini, parlare di Gesù, della Madonna, del Paradiso. Ma non sapevo a chi rivolgermi fino a quando un giorno, era il 1952, capitando a casa di mia zia, vidi una rivista, il Bollettino Salesiano. Sulla prima pagine c’era l’immagine di un salesiano coadiutore italiano che era in missione in India. Quell’immagine fu come un lampo e dissi questa è la mia vocazione. Ma avevo già 26 anni e pensavo che, avendo anche interrotto gli studi nove anni prima, non sarei potuto diventare sacerdote.
Scrissi alla Casa Madre dei Salesiani, a Torino, e mi rispose un sacerdote che mi indirizzò alla casa salesiana di Loreto, la più vicina a casa mia”. Il primo incontro con quella realtà fu affascinante per il giovane Palmerio. “Era il mese di marzo del 1952, andai a Loreto e vidi una realtà molto bella, c’erano i ragazzi, c’era un bel clima, si studiava, giocava, pregava”. In un colloquio con il superiore dei salesiani un secondo “lampo” per Palmerio. “Sapendo delle mie intenzioni di entrare nella congregazione mi chiese se avessi la voglia di completare gli studi. Accettai con entusiasmo e, nonostante fossero passati nove anni da quando li avevo interrotti, rientrai direttamente in quinto ginnasio”. Iniziò così un percorso che lo portò a Pinerolo, per il Noviziato, poi a San Callisto, a Roma, per completare gli studi. E poi fece la domanda per andare in missione, scegliendo il Brasile. “Sempre sul Bollettino Salesiano avevo letto l’intervista ad un sacerdote che spiegava come in Brasile ci fosse bisogno di missionari. Finalmente, nel dicembre del 1957, partii con la nave da Genova, insieme ad un altro chierico tedesco”. Inizia la sua esperienza nel paese del Sudamerica. “Ero nello stato del Mato Grosso, nel centro del Brasile. Dapprima imparai il portoghese, poi iniziai ad insegnare storia, geografia e scienze ai bambini. Dopo i 3 anni di scuola andai a San Paolo per studiare teologia. Lì, l’8 dicembre 1964, sono stato ordinato sacerdote”. Altri due anni in Brasile e poi il rientro in Italia. Nel suo paese aspettavano con ansia il “loro” sacerdote. “L’8 dicembre 1966 celebrai messa nel mio paese, avevo 40 anni. Dopo due anni in Italia sono tornato in Brasile. Però mia madre stava male e così, dopo 4 anni, feci rientro in Italia. Ero nella Comunità di Porto Recanati, così ogni tanto potevo andare a casa”. Nel 1978, in seguito alla morte della madre, Don Palmerio prese nuovamente l’aereo e tornò in quella terra tanto lontana ma tanto amata. “Sono rimasto in Brasile per altri 24 anni, fino al 2003. Quando sono tornato in Italia avevo già 78 anni. Sono passato per Ancona, Macerata e poi, dal 2007, sono qui a Vasto”.
Primo tempo: IL MOMENTO DEGLI INIZI
La sua vita inizia “il 28 marzo 1926, in provincia di Ascoli Piceno, a Corbara di Montegallo” da papà Domenico e da mamma Lancellotti Emidia. Erano i tempi del fascismo “ma quasi non me ne sono accorto. Eravamo in un paesino nascosto tra i boschi, c’era ben poco di quello che accadeva”. Terminate le scuole elementari, nel 1938, il piccolo Palmerio si trasferì a Roma. “Lavoravo in un bar e studiavo, a Montesacro. Frequentai fino al quarto ginnasio. Poi, con lo sbarco degli alleati in Sicilia, chiusero le scuole e ci rimandarono tutti a casa perché i tedeschi prendevano i ragazzi per portarli in Germania”. Lui tornò nel suo paese, dove iniziò a lavorare nei campi, mettendo da parte gli studi. “Avevo una buona terra da lavorare, si raccoglieva bene. Lavorando spesso pensavo: cosa farò della mia vita?
E così viene a snodarsi la sua vita: entra in Noviziato a Pinerolo il 15 agosto 1953 ed emette la prima professione religiosa il 16 agosto 1954; viene inviato per tre anni a Roma San Callisto per la sua preparazione culturale fino al 1957, anno della sua partenza per il Brasile dove svolge il tirocinio pratico, la preparazione filosofica e teologica e viene ordinato sacerdote a San Paolo il giorno 8 dicembre 1964. Rimane ininterrottamente in Brasile fino al 1973, quando rientra in Italia per assistere la mamma – appoggiato nella Comunità di Poto Recanati – e vi rimane fino al 1979, quando parte nuovamente per il Brasile fino all’anno 2003. Così scrive l’Ispettore di campo Grande nel 2003 al momento dell’accettazione della sua domanda di rientro: “Per l’Ispettoria è sempre una perdita, perché don Taliani è un confratello esemplare e ha lavorato molto in varie parrocchie dell’Ispettoria, con l’apprezzamento di tutti”. In Brasile, dopo l’ordinazione sacerdotale, ha lavorato come Parroco, Economo e Direttore di Comunità. Al suo rientro in Italia viene destinato alla Casa di Macerata come Rettore del Tempio Don Bosco e nel 2007 inviato a questa Comunità di Vasto dove vi rimane fino all’incontro definitivo con il Risorto.
Una vita improntata al servizio, alla missione verso gli ultimi, nello stile di Don Bosco. Oggi la tua missione raggiunge per te l’apice: l’incontro con il Signore nella sua casa celeste. La tua è stata una vita consumata totalmente per il prossimo, a partire dai tanti anni di missione in Brasile dove i volti dei poveri sono rimasti impressi per sempre nei tuoi occhi, che ti hanno portato a chinarti verso le persone più bisognose nell’ospedale della nostra realtà di Vasto. Quegli occhi pieni di gioia e consumati dal servizio sono stati luce al nostro cammino. Una delle certezze di questi anni era trovarti sempre in cappellina con lo sguardo rivolto verso il tabernacolo, immerso nella preghiera. Testimonianza che porteremo nei nostri cuori e nei cuori dei giovani che incontreremo. Puntuali erano le tue passeggiate pomeridiane e festoso era il tuo incontro con i giovani del cortile all’ora della preghiera. Il tuo sorriso rimarrà sempre nei nostri cuori, ricco di mitezza e di umiltà. Il tuo modo di fare pacato, gentile ti ha accompagnato anche in questo abbraccio con il Signore. Lo hai raggiunto in silenzio, in punta di piedi, come tu sapevi fare e non a caso nel giorno dedicato a lei, alla Beata Vergine Maria Regina. Colei che quotidianamente pregavi con la preghiera del Rosario oggi ti ha messo sotto il suo manto per accompagnarti all’incontro con il suo figlio. La tua vita dedita alla preghiera, all’ascolto e al servizio del prossimo ci ha insegnato a tendere la mano verso i più bisognosi, a sostare in silenzio davanti Gesù Eucarestia e a vivere con gioia l’incontro con Lui nella santa messa, animata dalle tue parole e dalla tua esperienza di vita missionaria. << Il popolo va servito, mai comandato! >> Queste tue parole saranno per noi monito nel metterci a servizio e in ascolto dei giovani dell’Oratorio e dei più poveri. In tutti questi anni ci hai dimostrato e hai fatto della tua vita le parole di don Bosco: “Fate il bene senza comparire”. Sei stato e continuerai ad essere, per l’eternità, la nostra violetta, la quale sta ascosta, ma si conosce e si trova grazie al suo profumo. (La comunità parrocchiale e i giovani dell’opera salesiana di Vasto).
Io l’ho conosciuto in questi ultimi tre anni da quando sono a Vasto. Mi ha sempre fatto pensare alla mitezza e umiltà di cuore di cui parlava Gesù. Non l’ho mai visto lamentarsi né fare nessuna richiesta è come se si preoccupasse di non arrecare il minimo disturbo. Nonostante fosse sulla sedia a rotelle quando era in stanza da solo provava ad alzarsi e tante volte lo abbiamo trovato caduto in terra ma mai nessun lamento e nessuno spavento sempre sereno con la battuta pronta. Una sua caratteristica era lo humor con una grande lucidità di mente fino all’ultimo. Per me era un santo confratello, un Gesù di 99 anni (Gioacchino Passafari).
“Io sottoscritto Taliani don Palmerio, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali redigo il mio testamento. Innanzitutto, ringrazio il Signore per avermi creato, fatto cristiano e avermi dato la vocazione salesiana. Ringrazio mio fratello e i miei nipoti per il bene che mi hanno voluto, il Signore li benedica e li ricompensi! Ringrazio tutti i confratelli che ho incontrato nel mio cammino di vita salesiana per la grande carità e comprensione che sempre hanno avuto verso di me. A tutti un grande arrivederci in Paradiso”. A me piace pensare che all’alba del 22 agosto la Madonna sia venuta a prenderlo per portarlo dal Suo Figlio. Ci teneva che partecipasse alla Festa della Chiesa pellegrinante con la Chiesa Celeste che la onorava come Regina. Sono convinto che don Palmerio abbia risposto prontamente: “Eccomi, io vengo”.
La convinzione di Don Bosco circa la presenza viva di Maria nell’Oratorio e in ogni Casa salesiana e delle FMA è testimoniata dalla commovente parola rivolta con insistenza alle Figlie di Maria Ausiliatrice nella sua ultima visita a Nizza Monferrato: «La Madonna è veramente qui, qui in mezzo a voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto». Questa presenza di Maria nella casa di Don Bosco è percepita come la presenza di una Madre. Essa è la Madre dell’Oratorio, la Madre di tutti i giovani: ne sono certo, questo è il dono più bello che don Palmerio lascia a questa Casa Salesiana!
Aveva ragione Don Bosco nell’affermare: “Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un grande trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del Cielo”. Il salesiano non va mai in pensione, anche se qualche assicurazione sociale gliene offre le possibilità. Egli lavora “per le anime” fino a che ne ha le forze, disposto a soccombere a questo compito. È l’applicazione suprema del “da mihi animas, cetera tolle”: Signore, toglimi anche questo riposo finale a cui ogni uomo aspira, se con il mio lavoro posso ancora far del bene a qualche anima! “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”. Il salesiano è apostolo fino alla fine, e muore da apostolo, coerente con l’esortazione del nostro Padre Don Bosco: “Ci riposeremo in paradiso”. Lì, don Palmerio ci attende!
Le parole della fede e, soprattutto, la partecipazione al corpo e sangue del Signore ci permettono di dare senso al dolore per la dipartita del nostro confratello e anche all’attesa del nostro personale compimento in Cristo. Così in questo momento di afflizione possiamo proclamare nella fede: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Per don Palmerio la venuta del Signore si è compiuta; l’“Eccomi” ha raggiunto la sua pienezza. Per noi che siamo in cammino resta il suo esempio di fedeltà a Cristo, alla Chiesa e a san Giovanni Bosco come incoraggiamento e sostegno, affinché un giorno siamo trovati degni di essere accolti nell’abbraccio della misericordia infinita di Dio che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen!