Non dilapidare il tempo di Pasqua
Il “tempo di Pasqua” può essere senz’altro definito un kairòs, cioè un tempo opportuno, da cogliere al volo, da non perdere assolutamente. Un vero e proprio tesoro da non dilapidare. Ma è un tempo per fare cosa? Esso ci sprona a vivere in modo speciale l’incontro con il Risorto, che vuole manifestare se stesso ad ognuno di noi per trasformare la nostra vita e renderla pienamente e definitivamente felice.
Spesso la nostra vita è come quella dei due discepoli che tornano ad Emmaus dopo la morte di Gesù in croce. Per loro la meravigliosa esperienza vissuta per tre anni con il loro maestro è finita definitivamente con la sua morte. Essi avevano fortemente creduto che egli fosse il Messia tanto atteso. Ma la morte ha spezzato la loro speranza. Il loro volto è triste, abbattuto. I loro occhi lasciano trasparire la rassegnazione a vivere una vita senza gioia, senza speranza. Insieme a loro anche noi siamo presi dagli eventi della vita, che spesso ci opprimono e ci travolgono. Desideriamo realizzare una vita felice, ma non sappiamo come fare. Sentiamo una forte necessità di liberarci da tutto ciò che ci opprime, ma siamo altrettanto consapevoli che non ne abbiamo le forze: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele” (Vangelo di Luca 24,21). E in questa situazione, non ci accorgiamo della presenza del Signore che si fa prossimo a noi per comunicarci la sua vita, la sua gioia, la sua speranza, la sua pace, la sua felicità.
Come il Risorto si fa prossimo a noi? “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Vangelo di Luca 24,27). La Scrittura è il primo luogo teologico dove il Signore si fa vicino a ciascuno di noi. Egli ci parla, ci rivela se stesso e ci fa conoscere il progetto di vita che Dio vuole realizzare per renderci felici. Pertanto, siamo esortati, ad imitazione di Maria, la madre di Gesù, delle persone che meditano costantemente la Parola di Dio nel proprio cuore. L’ascolto della Parola e la sua osservanza è garanzia di una vita felice.
Ma Gesù non vuole solo darci una vita felice. Egli vuole donarci la sua stessa vita. E allora decide di donare tutto se stesso, il suo corpo e il suo sangue, nel pane e nel vino: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro” (Vangelo di Luca 24,30). L’eucaristia è la presenza sacramentale del Signore Risorto in mezzo a noi. Il pane e il vino, segno del corpo e del sangue di Cristo, trasformano la nostra vita nella stessa vita del Risorto, che vive in noi e ci comunica la sua gioia: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Vangelo di Luca 24,32).
L’incontro con il Signore non può essere taciuto: “Essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Vangelo di Luca 24,35). E’ la buona notizia che tutti devono venire a sapere. Essa deve essere assolutamente comunicata agli altri in modo da contagiare tutti. La gioia del Risorto deve essere vissuta da tutti: “Poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia” (Vangelo di Luca 24,52). La testimonianza che siamo chiamati a dare agli altri ha al suo centro la nuova vita che il Risorto ci ha donato. La nostra vita è adesso una vita felice, pienamente realizzata. Non perchè in essa siano assenti i problemi e le difficoltà vissute da tutti gli uomini, ma perchè il Signore si è fatto prossimo a noi, ci ha donato tutto se stesso e ha trasformato, con la sua presenza, le nostre vite.