Carissimi Amiche e Amici,
piccoli e grandi.
Colgo l’occasione del commento al segno dell’Altare della Reposizione per farvi e farci, come sempre, gli auguri di una Santa Pasqua.
“Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Apocalisse 3,20
La porta
………….La porta bianca…
La porta che, dalla trasparenza, porta nell’opacità…
La porta condannata…
La porta cieca, che reca dove si è già, e divelta
resta biancomurata e intransitiva…
L’amorfa porta che conduce ottusa
e labirintica (chiusa nel suo spalancarsi) là
dove nessuna entrata può dar àdito…
Dove nessuna stanza o città
s’apre all’occhio, e non muove
nel ristagno del vago ramo o pensiero una sola parvenza…
Una sola cruna di luce (o d’ago) nella mente…
La porta morgana:
la Parola.
(Giorgio Caproni)
Caproni, poeta livornese, che reca in se quella maledizione letteraria – scritta anche essa da un improbabile toscano il Malaparte (figlio di una milanese e di un sassone), ma nato in quel sinonimo paese che prende il nome da uno spazio erboso, che si chiama Prato – quel maledetto toscano mette in poesia una fantastica allegoria – il parlare di altro attraverso il simbolo – sulla porta:.
La porta bianca cioè pura come il cuore dei tanti bambini che sono stati violati nella loro innocenza, ma rimangono innocenti; la porta trasparente come il vetro che permette di vedere attraverso, opposta all’opacità che impedisce di leggere nel cuore delle persone, ma che opacizza anche la storia; la porta condannata del buio di tante prigioni di mattoni o di solitudini in cui vivono reclusi alcuni; la porta cieca che non va oltre il “dove si è già” senza entusiasmi di novità, come è invece la Pasqua, novità oltre la cieca ineluttabile morte; la porta intransitiva che non fa passare, dove non ci sono né andate né ritorni nella propria vita, c’è solo immobilismo delle proprie posizioni e la chiusura agli altri; la porta labirintica, da dove ti sembra di esserne uscito e invece ti ritrovi ancora in viottoli talvolta ciechi dove ancora giri e rigiri, come in certi vizi e peccati, da cui sembri non uscirne mai fuori; la porta “Dove nessuna stanza o città s’apre all’occhio”, come le porte di certe frontiere che sono diventate ormai muri invalicabili, e gli occhi diventano troppo miopi o peggio chiusi agli spazi di accoglienza per l’umanità disumanizzata dalle troppo umane posizioni di idee di “questa è casa mia ed entra solo chi voglio io”; una porta come una “cruna di ago” dove il Vangelo ci ricorda che all’impossibile ci pensa Dio, ed una cruna di ago diventa lo spazio accessibile alla salvezza per ogni uomo (cfr Lc 18,24-27); la porta morgana della Parola, dove Parola è scritta in lettera Maiuscola, la Parola, Logos, Verbum (cfr Gv. 1,1), la Parola “fatta carne” per la nostra salvezza. La Parola che ha dato la vita per noi sulla Croce, e perché noi potessimo aprire a Lui le nostre porte, Gesù apre a noi le porte del Paradiso “oggi sarai con me nel paradiso” (Lc. 23,43).
“Io sto alla porta e busso” Il Signore sta alla porta del nostro cuore e bussa. Bussa non perché non ha una propria casa (la Trinità è la Casa delle Tre persone uguali e distinte in un solo Dio), ma perché vorrebbe trovare casa anche nei nostri cuori chiusi nel proprio peccato, nella propria solitudine, nella propria autosufficienza.
Il Signore bussa, perché desidera abitare le nostre vite talvolta o troppo vuote o troppo piene di cose inutili. Bussa, con garbo. Non butta giù la porta con l’ariete, non vuole fare violazione di domicilio; non viene ad intimare nessuna causa di sfratto; non vuole fare occupazione impropria; desidera solo cenare con noi, anzi vuole essere Lui il nostro pasto quotidiano nell’Eucaristia del suo Corpo, cibo che sostenta le nostre debolezze e infermità; desidera che ascoltiamo la sua voce, in quel dialogo che desidera però instaurare perché vuole far parte della soluzione dei nostri problemi. Lui che è il Cristo sofferente vuole incontra le nostre e le altre “Criste” vite per renderle gloriose e non più “poveri Cristi, corpi sofferenti”. Le nostre “Criste vite” e tutte le altre “Criste vite”.
Apriamogli la porta allora. Apriamo a Lui che bussa. E se nel dubbio non dovessimo riconoscerlo subito, perché travestito nei panni del povero che chiede sempre alle porte della nostra chiesa; del giovane in difficoltà che reca solo danno anche al nostro oratorio; della famiglia che sta dividendosi portandosi il suo bagaglio di roba, di dolore e rabbia; del malato che bestemmia la sua malattia; dell’anziano che è rinchiuso nel suo passato; del disoccupato che bussa a tutte le porte per trovare uno straccio di lavoro; dello straniero che passa dal confine della sua terra per trovarsi talvolta confinato al confine nella nostra terra; della persona indesiderata e scomoda; apriamo perché qualcuno come ci ricorda la Lettera agli Ebrei, sulla pratica dell’ospitalità “hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Eb. 13,2). E quell’angelo non è un angelo qualsiasi è proprio Cristo sofferente e risorto, per noi e per tutti.
Buona Pasqua
Don Max